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INTRODUZIONE


Al giorno d’oggi esiste un’arte religiosa , ma certo non un’arte sacra. In effetti, fra queste due nozioni c’è qualcosa di più che una semplice sfumatura: c’è una differenza radicale. La vera arte sacra è di natura non sentimentale o psicologica, ma ontologica e cosmologica. Perciò questa arte sacra non appare più, seguendo l’esempio dell’arte moderna, come il risultato dei sentimenti, delle fantasie, fosse anche del "pensiero" dell’artista, ma piuttosto come la traduzione di una realtà che oltrepassa largamente i limiti dell’individualità umana. E’ questa la peculiarità dell’arte sacra: essere un’arte sopra-umana.


Per tale ragione sarà anzitutto necessario ricordare l’elevata dignità dell’arte, che è la traduzione sul piano sensibile della Bellezza ideale: perché la Bellezza è una forma del Divino, un attributo di Dio, "un riflesso della Beatitudine divina" (F. Schuon) e anche della Verità divina, fondamento dell’Essere. Ecco perché, secondo la formula platonica, il Bello è "lo splendore del Vero". L’arte sacra è il veicolo dello spirito divino; la forma artistica consente di assimilare direttamente – e non in maniera discorsiva, come è per la ragione – le verità trascendenti e sopra – razionali. Per misurare la vera portata dell’arte sacra è necessario afferrarla nella sua causa prima, che è il Verbo creatore; giustamente, implicando la creazione il dono della forma, si può dire che il Verbo è l’Artista supremo in quanto principio formale dominante il caos in cui la "luce" rischiara le "tenebre". La perfezione del Verbo, dice Dionigi l’Areopagita, è "forma informante tutto ciò che è informe"; ma poi aggiunge : "nella misura in cui essa è principio formale, non è di meno informe in tutto ciò che ha forma, poiché trascende ogni forma". Giustamente, il fine dell’arte è di rivelare l’immagine della Natura divina impressa al creato, ma nascosta in lui, realizzando degli oggetti visibili impressa al creato, ma nascosta in lui, realizzando degli oggetti visibili che siano simboli del Dio invisibile. L’arte sacra è quindi come un prolungamento dell’Incarnazione, della discesa del divino nel creato, e a questo titolo si potrebbe estendere all’arte in generale la giustificazione delle icone data dal secondo Concilio di Nicea: " Il Verbo indefinibile del Padre si è lui stesso definito assumendo la carne […] Reintegrando l’immagine sporcata nella sua forma primitiva, Egli l’ha penetrata di Bellezza divina. Confessando tutto ciò noi la riproduciamo in opere e in atti".
E’ ben evidente che in un’arte così concepita, che ha un valore quasi "sacramentale", l’artista non può lasciarsi guidare dalle sue proprie ispirazioni; il suo lavoro non consiste nell’esprimere la propria personalità, ma nel cercare una forma perfetta rispondente a dei sacri prototipi d’ispirazione celeste. Questo per dire che l’arte non è sacra per l’intenzione – soggettiva – dell’artista, ma per il suo contenuto oggettivo.
Così l’estetica si ricollega gerarchicamente alla cosmologia e, attraverso di essa, all’ontologia e alla metafisica. Tale ordine gerarchico determina il carattere essenziale dell’arte sacra che è quello di essere simbolica, cioè di tradurre per mezzo di immagini polivalenti la corrispondenza che collega i diversi ordini della realtà, di esprimere attraverso il visibile l’invisibile e di condurvi l’uomo.
In questa prospettiva, una chiesa non è semplicemente un monumento, ma è un santuario, un tempio. Il suo fine non è solo quello di "riunire dei fedeli", ma di creare per essi un ambiente che permetta alla Grazia di manifestarsi meglio; e raggiunge lo scopo nella misura in cui riesce a trasportare, a canalizzare al suo interno in un sottile gioco di influenze verso una meta – la comunione con il Divino -, il flusso delle sensazioni, dei sentimenti e delle idee. Il santuario delle grandi epoche è uno "strumento" di raccoglimento, di gioie, di sacrificio e di ascesi; in primo luogo attraverso la combinazione armoniosa di mille simboli che si fondono nel simbolo totale che è esso stesso, e poi offrendosi come un ricettacolo ai simboli della liturgia, il tempio costituisce con quest’ultima la più prodigiosa incantazione che possa preparare l’uomo per prendere coscienza della discesa della Grazia, dell’epifania dello Spirito nella corporeità. Abbiamo accennato alla liturgia perché non la si può separare dal tempio che è costruito per lei, e speriamo di poter mostrare la profonda unità che è soggiacente all’organizzazione dell’uno e dell’altra.
La decadenza dell’arte contemporanea è dovuta all’oblio pressappoco totale di questi principi; la loro riscoperta dovrebbe portare gli artisti a creare nuovamente delle opere, certo non identiche a quelle del passato – perché è impossibile e non auspicabile -, ma analoghe, in quanto emananti da un medesimo centro spirituale.

ORIGINE CELESTE DEL TEMPIO


E’ necessario esaminare sin d’ora una questione importante perché condiziona le successive: si tratta dell’origine celeste del tempio. Nel pensiero tradizionale, in effetti, la concezione del tempio non è lasciata all’ispirazione personale dell’architetto, ma è data da Dio stesso. In altre parole il tempio terrestre è realizzato conformemente ad un archetipo celeste comunicato agli uomini attraverso l’intermediazione di un profeta, e questo è ciò che fonda la legittima tradizione architettonica.
Così, i differenti santuari dell’Antico Testamento sono stati edificati seguendo le indicazioni di Dio. E’ detto, a proposito di Bezaleel e Ooliab, gli architetti designati per l’Arca dell’alleanza, che Dio "li ha riempiti di sapienza, di intelligenza, di scienza per ogni sorta di opere, per inventare tutto quello che si può fare" (Es 35,31-32). Tutto ciò che riguarda il tempio mosaico dà luogo a delle dettagliate prescrizioni del Signore: "Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. Essi lo faranno conformemente a ciò che mostrerà, secondo il modello del tabernacolo, e secondo il modello di tutti gli arredi…" (Es 25,8-9).
Il tempio cristiano fa ben seguito, con le sue differenze, al tempio degli Ebrei ed è questo che la tradizione afferma sin dalla più remota antichità. Un documento capitale a tal proposito è quello di san Clemente di Roma che, occupandosi degli uffici divini, afferma: "Dio stesso ha indicato, in virtù della Sua Suprema volontà, il luogo in cui questi uffici vanno celebrati e chi li deve celebrare" (Ad Cor., 1,40).
Il tempio cristiano è il riflesso sulla terra di un archetipo celeste, la Gerusalemme dell’Apocalisse che ci viene presentata da san Giovanni in maniera analoga a quella di Ezechiele. Come il profeta, san Giovanni ci ha trasmesso i prototipi delle dimensioni calcolate da un angelo architetto grazie a una canna d’oro (Ap 21).
E’ lei che è al centro della liturgia della Dedicazione, ed è da lei che il tempio trae tutto il suo significato fondamentale. Ora, la Gerusalemme celeste sintetizza l’idea cristiana di "comunità degli eletti" e di "corpo mistico" e l’idea ebraica del tempio quale dimora dell’Altissimo, e assicura la continuità da un Testamento all’altro nonché, conseguentemente, da un tempio all’altro. Tale aspetto appare ancora più nettamente con lo studio del simbolismo cosmologico di questa Gerusalemme celeste.


TEMPIO E COSMO


Ogni edificio sacro è cosmico, ovvero fatto ad imitazione del mondo. "La chiesa è l’immagine del mondo", dice san Pier Damiani. Questo perché il nostro corpo è legato al mondo e perché dobbiamo pregare Dio nella nostra condizione corporea.
Il tempio non è solo un’immagine "realista" del mondo, è ancora di più un’immagine "strutturale", che riproduce la struttura intima e matematica dell’universo. Qui si trova la fonte della sua bellezza sublime. La fondazione dell’edificio comincia con l’orientamento, che è già in qualche modo un rito poiché stabilisce un rapporto fra l’ordine cosmico e l’ordine terrestre o, ancora, fra l’ordine divino e l’ordine umano.
E’ importante ricordare con precisione le tre operazioni della fondazione, ovvero: il tracciato del cerchio, il tracciato degli assi cardinali e l’orientamento, il simbolismo fondamentale del tempio con i suoi tre elementi corrispondenti alle tre operazioni: il cerchio, il quadrato e la croce per mezzo della quale si passa dal primo al secondo.
Questo rapporto del cerchio con il quadrato o della sfera con l cubo, è realmente il fondamento dell’architettura sacra, a partire dal quale tutto l’edificio è concepito e realizzato.
L’edificio sacro appare dunque come una variazione sinfonica del medesimo tema architettonico, ripetendosi, aggiungendosi indefinitamente a se stesso in modo da ricordare il simbolismo fondamentale del tempio: l’unione del cielo e della terra, il "tabernacolo di Dio fra gli uomini", come l’ha cantato magnificamente san Massimo il Confessore nel suo Poema su Santa Sofia d’Edessa:
"E’ cosa davvero mirabile che, nella sua piccolezza [questo tempio] sia simile al vasto mondo…
"Ecco che la sua copertura è tesa come i cieli: senza colonne, incurvata e chiusa; e inoltre [essa è] ornata da mosaici d’oro come il firmamento lo è da stelle brillanti.
" Ed ecco che la sua cupola elevata è comparabile al cielo dei cieli. E, simile ad un elmo, la sua parte superiore riposa solidamente sulla parte inferiore.
"I suoi archi, vasti e splendidi, assomigliano inoltre, per la varietà di colori, all’arco glorioso, quello delle nubi".
La determinazione di un centro e l’orientamento danno all’edificio tutto il suo significato. Ed è ciò che ci permette di giustificare il simbolismo cosmico dell’architettura il cui interesse non sembra forse essere oggigiorno evidente a molte menti. La chiesa, essendo una croce cardinale orientata e centrata, sacralizza realmente lo spazio.


ARMONIE NUMERICHE


La costruzione del tempio imita la creazione del mondo.
Il fondamento metafisico di tale simbolismo è il seguente: le forme geometriche traducono la complessità interna dell’Unità divina e il passaggio dall’Unità indivisibile all’Unità multipla trova il simbolo più adeguato nella serie di figure geometriche regolari contenute nel cerchio o dei poliedri regolari contenuti nella sfera. Questo ci porta a considerare il ruolo del Numero che nel pensiero tradizionale è altra cosa rispetto alla "cifra" ed è in particolare sempre considerato nei suoi rapporti con la geometria. Il numero così concepito è dunque il modello dell’universo: "Tutto è disposto secondo il Numero", diceva Pitagora in un discorso riportatoci da Giambico. SI tratta di un aspetto sul quale il cristiano non può dubitare, visto che la Scrittura non si esprime diversamente: "L’universo – dice Pio XI – è così risplendente di bellezza divina perché una matematica, una divina combinazione di numeri, regola i suoi movimenti, poiché, come ci dice la Scrittura, Dio ha creato tutto "con numeri, pesi e misure"". Le cose hanno una struttura matematica. Questa matematica spiega in particolare ciò che di primo acchito sembra inesplicabile all’ammiratore delle cattedrali: l’atmosfera ingegnosa di questi edifici; l’armonia quasi divina e l’impressione di perfezione che producono non dipende da intenzioni soggettive, sentimento religioso o affettività dell’artista – come si crede oggigiorno -, ma da leggi oggettive che provengono dalla geometria platonica trasmessa alle organizzazioni di costruttori. L’elemento essenziale era per loro la nozione di rapporto e di proporzione fra le differenti parti dell’edificio. La principale, chiamata ancora "proporzione divina", era il famoso "numero d’oro" o "sezione aurea" (1,618 =F). Una euritmia fondata sul numero d’oro legava attraverso una sottile analogia le forme, le superfici, i volumi architettonici. I due numeri che giocheranno il più grande ruolo nella costruzione di queste forme e volumi furono la Decade – la cui radice è la Tetraktys (somma dei primi quattro numeri: 1+2+3+4 =10) – e la Pentade. La Decade era il numero stesso dell’universo, base della generazione di tutti i numeri figurati, piani o solidi, e dunque dei corpi regolari corrispondenti ad alcuni fra di essi, e inoltre base degli accordi musicali essenziali. Il Cinque era chiamato dai Pitagorici numero nuziale, ovvero archetipo astratto della generazione, visto che esso unisce il primo numero pari, chiamato "matrice", al primo numero dispari, chiamato "maschile" (2+3=5). Il Cinque è il numero dell’armonia e della bellezza, in particolare nel corpo umano.


Si vuole un esempio di queste armonie numeriche? La cattedrale di Troyes ce ne offre uno notevole.Il corpo dell’edificio, dall’entrata fino al semi – cerchio del santuario, si iscrive in un rettangolo "aureo" con il raggio della circonferenza che passa dall’asse delle colonne del santuario (raggio = 7,10). Ora, non dimentichiamolo, il decagono uscito dalla tetraktys è, seguendo il Timeo, la figura ideale di cui si serve Dio per disporre l’universo. Le misurazioni fatte nella navata centrale hanno dimostrato che le colonne si allargano leggermente avvicinandosi al santuario seguendo una modulazione aurea, in modo che "il fedele che avanza verso l’altare oltrepassa ad ogni campata una nuova porta d’oro". Allo stesso tempo, nelle navate laterali, il rapporto di altezza fra i capitelli della chiave di volta è "aureo" così come lo scarto fra i pilastri in rapporto all’altezza dei capitelli di cornice. A questa armonia plastica si aggiunge d’altro canto un’armonia ancor più misteriosa, di natura mistica. E’ stato osservato che la chiave di volta del coro è ad una altezza che, una volta ridotta in piedi e pollici, ci dà:88 piedi e 8 pollici. Ora, 888 è la cifra corrispondente in greco al nome di Gesù.
Il numero 888 si trova egualmente attorno all’altare (simbolo i Gesù): il santuario è racchiuso da 8 colonne e le sue aperture portano alle 7 absidi pentagonali che rappresentano l’irradiamento delle 7 chiese dell’Apocalisse. Il Libro giovanneo sembra dominare l’ispirazione di questo edificio perché altre colonne – fatta eccezione per quelle del coro – misurano 6 piedi e 6 pollici e la chiesa aveva 66 colonne a sostegno delle volte; ciò in relazione ad un altro numero dell’Apocalisse: 666, ovvero il numero della Bestia (Ap 13,11 e 18) che le colonne dovevano schiacciare. Si ritrova un terzo numero giovanneo: 144.000, il numero degli eletti; nel triforio vi sono in effetti 144 finestre da cui si irradiano – dall’abside al rosone occidentale – tutti coloro che portano il sigillo dell’Agnello. Infine, il triangolo tracciato della chiave di volta del santuario, preso come vertice alla base delle grandi colonne, è misurato da 26° (angolo del vertice); ora, 26 è il numero del grande Nome divino YHWH.


IL TEMPIO, CORPO DELL’UOMO – DIO


Cristo ha affermato molto chiaramente che il Suo Corpo è un tempio, o piuttosto il Tempio:
"Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in te giorni lo farai risorgere?". Ma egli parlava del tempio del suo corpo" (Gv 2,19-21).
Questo versetto racchiude un insegnamento della più elevata importanza. Nell’uomo individuale il corpo è l’abitacolo dell’anima; in Gesù, Uomo – Dio e Uomo universale, il Corpo è l’abitacolo della Divinità: "E’ in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9), perché "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14), realizzando in tal modo ciò di cui il tempio mosaico non era che una figura: l’inabitazione di Dio fra gli uomini ed anche negli uomini.


Il tempio rappresenta per l’assemblea cristiana il Corpo di Cristo, ma giacchè anche l’assemblea è il Corpo di Cristo, questa ne costituisce il tempio spirituale, il Corpo mistico di Cristo. Infine, anche l’anima individuale è capace di diventare questo tempio. L’edificio sacro può dunque essere considerato sotto un triplice punto di vista: in quanto Umanità di Cristo, in quanto Chiesa e in quanto anima di ogni fedele, essendo questi tre punti di vista peraltro indissociabili, dato che gli ultimi due non sono che conseguenze del primo.
Il tempio rappresenta quindi anzitutto il Corpo di Cristo. Tale simbolismo – assolutamente indipendente, vale la pena di ricordarlo, dal piano cruciforme – è stato comunque messo magnificamente in luce da questa forma architettonica. Si tratta di una concezione antichissima sia in Oriente – ad esempio in Massimo il Confessore -, sia in Occidente. Onorio d’Autun, nel suo Specchio del Mondo, stabilisce le seguenti corrispondenze: il coro rappresenta la testa di Cristo, la navata il corpo propriamente detto, il transetto le braccia e l’altare maggiore il cuore, ovvero il centro dell’essere. Da parte sua, Durando di Mende scrive: "La disposizione materiale della chiesa rappresenta il corpo umano perché il cancello, o il luogo in cui si trova l’altare, rappresenta la testa, e la croce, da una parte all’altra, le braccia e le mani; infine, l’altra parte che si sviluppa a Occidente rappresenta il resto del corpo".


Guglielmo di Saint – Thierry ha sottolineato che un uomo con le gambe e le braccia distese può iscriversi in un cerchio tracciato da un compasso il cui centro sia fissato sull’ombellico. Questa figura si sovrappone, come è facile vedere, al diagramma utilizzato nel rito di fondazione: la croce nel cerchio; la croce costituita dall’uomo con le membra distese si sovrappone agli assi cardinali. Una tradizione che risale ai primi tempi del cristianesimo ha messo in rapporto questa figura con il nome generico dell’uomo: adam. In effetti, le quattro lettere della parola Adam sono in greco le iniziali delle parole che designano i quattro punti cardinali: A= Anatolè (oriente), D= Dysmè (occidente), A= Arctos (Settentrione), M= Mesembria (meridione). E’ d’altro canto ugualmente curioso constatare che i due gruppi formati da queste lettere nell’ordine in cui si presentano corrispondono esattamente alle linee rispettive dei due assi: AD-AM: AD = Oriente – Occidente, AM = Settentrione – Mezzogiorno.
Peraltro, il valore numerico di queste lettere ci dà il totale di 46, che è precisamente il numero degli anni impiegati per costruire il tempio.

 

LA CROCE


La croce rende esplicito il mistero del centro essa è diffusione, emanazione, ma anche riunione e sintesi. E’ il più completo di tutti i simboli; nessun altro quanto questo sa condensare nel più essenziale dei segni la più vasta delle sintesi. Forse è il simbolo più universale, infatti tutte le civiltà lo hanno compreso nel proprio patrimonio simbologico.
E’ un simbolo spaziale e temporale e questa proprietà privilegiata lo rende adatto ad esprimere il mistero del cosmo animato. Per questo essa si sovrappone sempre – in un modo o nell’altro, e con una sovrapposizione non tanto geometrica quanto immaginaria – al tempio cosmico che è la Chiesa.
La croce del microcosmo – chiesa non è tanto quella costituita dal suo perimetro (la navata che si incrocia con i bracci del transetto, dal momento che questa forma può fare difetto) quanto quello della sua intima espansione nelle quattro direzioni dello spazio. E’ questa coestensione dei quattro orizzonti, dei quattro venti dello spazio.
E’ ancora essa che iscrive nello spazio il cerchio delle stagioni, scandito dall’alternanza rituale dei solstizi e degli equinozi che sono i quattro punti cardinali del ciclo liturgico (Natale, Pasqua, San Giovanni, San Michele).
E’ ancora essa che salda la croce cardinale terrestre sulla celeste e fonda il simbolismo dei loro rapporti.
Questo rapporto è animazione, e la sua espressione più vivamente percepita dalla psiche umana è quella della rotazione della sfera del mondo attorno al suo asse polare; tale asse è perpendicolare al grande cerchio dell’orizzonte, del luogo sacro e forma con una qualsiasi delle parallele al suolo una croce, questa volta drizzata verticalmente.
Queste due croci, croce orizzontale, d’orientamento cardinale,e croce verticale assiale, in realtà non sono che una sola croce: quella a tre dimensioni e a sei bracci che orna i campanili delle chiese orientali. In occidente, essa assume la forma della girandola in cima ai campanili divisa alla base da una croce orizzontale orientata. Tale è la croce del mondo vivente, la croce che fa della chiesa il centro e la ripetizione del cosmo liturgico. Poiché essa è perfettamente coestensibile ai simboli del cosmo naturale non meno perfettamente misura il microcosmo che è la chiesa. In essa e per essa la vita e il movimento emanati dal polo celeste, simbolo di divinità, si trasmettono al centro sacro terrestre: all’altare, al santuario, alla chiesa, e irraggiando da questo centro, a tutto l’universo.
La croce tridimensionale è la più perfetta immagine sacra del mondo. E’ il segno visibile della trinità nell’unità.
Il sei caratterizza la creazione – emanazione; si ricordino l’opera di sei giorni e tutti i motivi sestuplici che si incontrano nel contesto della creazione, per esempio sui portali romanici ove si potrà incontrare sei volte la maschera della Terra che vomita viticci tra cui giocano alcuni animali.
Il settenario indica la conclusione e la pienezza (il settimo giorno) ottenuti quando si aggiunge al computo dei sei bracci il punto centrale da cui essi emanano o dove vengono assorbiti nell’unità indifferenziata.
Dio sta in questo centro: " Volgendo il suo sguardo verso queste sei estensioni come verso un numero sempre uguale, Egli conclude compiutamente il mondo; Egli è l’inizio e la fine, in Lui si compiono le sei fasi del tempo, e da Lui esse ricevono la loro indefinita estensione; la è il segreto del numero sette" (Clemente d’Alessandria).
La croce tridimensionale può essere rappresentata in modi assai differenti.
Sulla superficie piana la forma più semplice è la stella a sei braccia, più o meno regolari, sia per la loro dimensione che per la loro disposizione; la verticale Zenith Nadir appare spesso distinta dalla croce orizzontale e orientale da una faccia, una fiamma, un cerchio un motivo qualsiasi.
Nella croce tridimensionale si riconosce la forma nota del crisma, simbolo polivalente vecchio come il mondo, che la simboleggia cristiana si è compiaciuta di utilizzare, dopo un semplice battesimo mentale che risultava sia dalla lettura della X e della P, le prime due lettere del nome di Cristo in greco, sia dall’incrocio di questa X con la I di Jesus.
Il monogramma di Cristo diventava la formula simbolica della salvezza universale operata dalla croce di Gesù Cristo.
Quest’ultima non appariva sul labaro di Costantino, mentre compariva il crisma; la conversione dell’imperatore consentì la sostituzione con mezzo secolo di ritardo: l’impero divenuto cristiano, abolendo il supplizio della croce, soppresse l’odiosa sensazione connessa allo strumento di tortura finchè restò in uso.
La croce latina compare in seno al crisma stesso ma conserva in alto l’anello che ricorda la P e costringe a rilevare nell’incrocio l’antica X raddrizzata.
All’inizio del V secolo l’anello sparisce, e nasce la nostra tradizionale croce cristiana. Il crisma viene usato ancora, anzi in quest’epoca raggiunge le sue espressioni più perfette e trae dalla croce latina l’alfa e l’omega che spesso e volentieri gli vengono associate per assicurargli una cristianizzazione da ogni equivoco segnino: questo riferimento al Cristo dell’Apocalisse, Pantocreatore e maestro del tempo, conferisce al vecchio simbolo le dimensioni della Rivelazione.
(Spiegazione del mosaico del Battistero di Albenga).
Se la spiritualità cristiana è affascinata dalla croce, ciò non è dovuto in primo luogo alla sua insondabile ricchezza simbolica!
È che il Cristo morendo inchiodato ad una traversa fissata ad un palo ne ha fatto il segno storico del compiersi del disegno divino.
Per il credente, la croce primaria è l’ultima che con le braccia aperte esprime un amore grande come il mondo non aveva mai conosciuto. Un amore che ha trovato nello strumento del sacrificio il simbolo della sua grandezza.
La passione di Cristo ha trasfigurato il segno della croce; ormai, al di là dell’antica immagine, è l’universale e misteriosa bontà del suo Signore che l’uomo redento percepisce e venera. Attraverso la comunione con il segno sacro, egli penetra nelle vertiginose profondità del segno di Dio sul mondo, così come diceva San Paolo agli Efesini.
San Cirillo spiega ai suoi catecumeni: "Dio ha steso le mani sulla croce per abbracciare l’estremità dell’universo. Anche il monte Golgota è diventato il perno del mondo". Con Firmico Materno, il perno diventa l’asse dinamico che unisce cielo e terra: il legno della croce sostiene la volta celeste, e consolida le fondamenta della Terra.