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CAMPANE E CAMPANILI


Dopo aver studiato il significato del tempio nel suo insieme, converrà esaminare quello delle sue parti, in quanto tutte, a diversi livelli, sono simboliche. Ci accontenteremo quindi di esaminare, fra le più importanti, qualcuna delle parti del tempio, scegliendo quale principio di ricerca il più semplice, che consisterà nel seguire il fedele durante il suo tragitto dal mondo profano alla dimora di Dio. Una volta avvisato dalla voce familiare del campanile che lo chiama al culto divino, il fedele incontra in successione la porta, l’acquasantiera dove si segna, la navata che lo dirige verso l’altare, centro e fine di tutto l’edificio. Quest’ordine di scoperta sarà anche quello della nostra spiegazione.


Il campanile, che ha assunto nel corso dei tempi una grande importanza, non è un elemento primitivo dell’architettura cristiana. Nelle più antiche chiese conosciute non si trova il campanile.


Negli autori medievali il simbolismo dei campanili si sviluppa secondo due direttrice. Talora, riprendendo un tema antichissimo (dal Pastore d’Erma a Melitone), si vide nelle torri un’immagine di Maria e della Chiesa, definite correntemente nella liturgia, prendendo in prestito le parole del Cantico dei Cantici (4,4), la "Torre di Davide"; talaltra, ed è il caso più frequente, il simbolismo "moralizzante" della campana determina quello del campanile: l’una e l’altro furono assimilati ai predicatori e ai prelati che istruivano e ammonivano gli uomini.
Il tentativo più interessante, così ci sembra, per spiegare il significato del campanile è quello che lo ricollega al simbolismo cosmico del tempio in generale. In precedenza vi abbiamo già fatto allusione (capitolo III) dicendo che la forma del campanile ripete lo schema del tempio stesso: una cupola che sormonta il cubo, potendo la cupola assumere la forma di una "piramide" a sei oppure otto facce, che è una delle fasi del passaggio della sfera al cubo. Così, tutto ciò che è stato detto sul simbolismo del tempio vale ugualmente per il campanile.
Possiamo ancora aggiungere che la torre in quanto tale ha un simbolismo speciale: ascensionale. La torre, con la piramide e il pinnacolo che gli sta a strapiombo, sale all’assalto del cielo ed è un’immagine della montagna, della Montagna cosmica.
D’altro canto, una particolare attenzione deve essere prestata ai casi di torri gemelle che affiancano le facciate principali delle grandi cattedrali. E’ probabile che queste abbiano un simbolismo nettamente solare in collegamento con quello dell’intero edificio orientato, e che siano un ricordo delle più antiche "colonne"solari trasmesso alle associazioni di costruttori. Si tratterebbe dell’ultima trasformazione degli index primitivi destinati a determinare praticamente la zona nella quale si dislocano i levarsi del sole ad Est. Questa zona è lo spazio compreso fra il minimo d’inverno e il massimo d’estate; si segnavano i due punti estremi con due "testimoni", due "pilastri" che designavano i due punti relativamente "solstiziali" e relativamente situati a nord e a Sud, o se lo si preferisce, a destra e a sinistra dell’asse equinoziale: quest’ultimo era talvolta segnalato da un betilo.
A partire dal X secolo si cominciò a posizionare frequentemente un gallo al disopra dei campanili. Ad esempio, sotto il pontificato del papa Pasquale II (XI secolo) ve n’era uno sulla basilica del Laterano. Si tratta certamente di un antichissimo simbolo cristiano ricollegato al rinnegamento di san Pietro, ma anche ad un insieme simbolico che concorda perfettamente con il senso ed il ruolo della torre e della campana. Il gallo, in effetti, è un animale solare. Esso ha occupato un posto di rilievo nella religione mazdea in cui era consacrato allo stesso Ahura – Mazda, il dio della luce. Adottato dai Pitagorici il suo culto si diffuse a Roma e in Grecia e in seguito si incorporò alla tradizione cristiana: non si potrebbe altrimenti spiegare la sua fortuna nella letteratura dei primi secoli e del Medio Evo, fortuna che non giustificherebbe solamente con il testo del Vangelo. In effetti, gli sviluppi ai quali questo tema ha dato luogo si sono avuti in due direzioni che erano già state affrontate dagli stessi Padri. Secondo i Padri, il gallo aveva il ruolo di scuotere i pigri e richiamare al culto mattutino, e anche di allontanare gli spiriti cattivi, poiché annuncia la luce del sole che dissipa tutte le larve notturne: negotium perambulans in tenebris.
"Ecco che canta l’araldo del giorno, guardiano della nostre profonda. […] Al suo canto, la Stella del mattino caccia le ombre del cielo e tutto il coro degli astri abbandona le strade del mondo. […] Il gallo risveglia coloro che sono sdraiati, rimprovera i dormiglioni, accusa gli infedeli. Al canto del gallo ritorna la speranza, i malati ritrovano la salute, il ladro nasconde il suo coltello, nei cuori dei peccatori rinasce la fede".


ACQUASANTIERE E BATTISTERI


Non si entra in una chiesa come nella bottega di un commerciante. L’area che una chiesa delimita è uno spazio sacro, e d’altro canto è questo il senso etimologico dei termini templum – in latino – e temenos – in greco -, entrambi derivanti da una radice comune che significa "tagliare", "separare". Il recinto del tempio delimita e separa nettamente dall’ambito profano, racchiudendo un ambiente sacro riservato alla Divinità. Terribilis est locus iste… .Dall’atrio al santuario, il fedele percorre la "via della salvezza" che la chiesa in qualche modo riproduce nella sua planimetria: il portale con il nartece predispone alla transizione fra i due ambiti; la navata in cui riecheggia la Parola di Dio che ci guida – "Io sono la via, la verità e la vita" – è anche il luogo dell’adorazione; infine, il santuario – centrato sull’altare come peraltro tutti gli edifici -, il santuario insormontabile, nuovamente separato dal cancello, è il luogo della Presenza Divina.
Prima di penetrare in questo mondo sacro del tempio, l’uomo deve subire una mondatura: il battesimo, e in un certo qual modo, ogni volta che entra in chiesa, egli è invitato a riattualizzare questa purificazione, purificandosi con l’acqua dell’acquasantiera.
Nelle vicinanze delle chiese antiche vi erano delle fontane destinate a questo uso, come quella che san Paolino fece costruire a Tiro, quella della vecchia basilica del Vaticano, di Notre-Dame a Parigi (in quest’ultimo caso le fontane, oggi scomparse, si trovavano sul sagrato). Ovunque ci si lavavano le mani e la faccia, come testimonia un’iscrizione greca sull’acquasantiera della chiesa abbaziale di Saint-Mesmin – vicino a Orlèans – così concepita: "Lava qui i tuoi peccati e non solamente il tuo volto". L’acquasantiera sostituì le fontane, di cui è un ricordo. Venne posta in un primo momento all’esterno, davanti la porta; poi nell’atrio, e infine all’interno, vicino all’entrata.
L’acquasantiera e il battistero sono costituiti essenzialmente da una vasca d’acqua. Questa vasca è rotonda oppure ovale, o ancora ottagonale. Infine, nel caso dell’acquasantiera, la vasca è frequentemente rimpiazzata da una conchiglia.
Nel simbolismo tradizionale ogni vasca rituale rappresenta l’Oceano primordiale, le "acque" della Genesi sulle quali lo Spirito di Dio planò per operare la creazione. Ed è in riferimento a queste acque che il battistero o l’acquasantiera possiedono il potere di operare una rigenerazione, una ri-creazione.
La vasca è spesso ottagonale, e questo è molto significativo. Il numero Otto è uno dei numeri sacri del cristianesimo: nell’Arca, figura del battesimo e della Chiesa, si salvarono otto persone; ci sono otto beatitudini che definiscono il Regno dei Cieli, la domenica è l’ottavo giorno.
La stella a otto bracci, o rosa dei venti, simboleggia da molto tempo lo Spirito che soffia sulle Acque originali. E’ la stella maris, la stella del mare, il segno dello Spirito delle Acque, la cui forma animale è la medusa ottopode. Ecco allora che questa medusa è stata presa nel cristianesimo primitivo quale simbolo dell’anima rigenerata dalle acque del battesimo e di conseguenza, in un ordine inferiore, dell’acquasantiera.
Parlando delle grandi conchiglie con cui sono spesso realizzate le acquasantiere, non abbandoniamo il simbolismo acquatico al quale è legata tutta l’idea di purificazione e di rinascita. Al pari dell’uovo, che studieremo più avanti, la conchiglia è un simbolo sacro universale, sia come utensile rituale che come motivo ornamentale. La conchiglia, ancor più della vasca, richiama l’utero e soprattutto l’utero universale che è il contenitore delle Acque originali e dei germi degli esseri. Essa evoca in maniera sorprendente questo abisso oscuro dell’energia creatrice. Si spiega così come la conchiglia sia diventata l’emblema della seconda nascita. La conchiglia è rimasta fino ai nostri giorni un simbolo battesimale vivo: l’utensile che serve ad attingere l’acqua santa e a versarla sulla fronte del nuovo eletto è spesso costituito da una conchiglia metallica. Come l’uovo, la conchiglia serve quale ornamento funebre e, come lui, essa annuncia l’altra vita e la resurrezione. Tutto questo simbolismo spiega il suo impiego come acquasantiera, alla quale la conchiglia conferisce un carattere spiccatamente battesimale.


LA PORTA


La sacralità del passaggio e della porta assume tutto il suo valore quando si tratta del tempio, ed ecco perché all’entrata degli edifici sacri si piazzavano dei "guardiani della soglia", statue di arcieri, draghi, leoni o sfingi, personaggi semi-divini oppure divini come il Giano dei Romani, il dio della porta – janua – e del primo mese dell’anno, quello che "apre" l’anno: januorius. Questi guardiani della soglia avevano per compito quello di ricordare, a chi si disponeva per entrare, il carattere temibile del passo che stava per compiere nel transitare all’interno dell’ambito sacro. "Tu che entri, guarda verso il cielo", dice un’iscrizione sulla porta d’ingresso della chiesa di Mozat.
Nel sacro recinto che separa il luogo santo dal mondo profano vi è questo vuoto, questa cesura, che è davvero qualcosa di prodigioso: attraverso di esso si passa da un mondo all’altro.
Un fatto constatato da tutti coloro che hanno visitato le chiese romaniche e gotiche è la grandissima importanza data dalle decorazioni delle porte e soprattutto del portale principale. Ciò si spiega facilmente dal momento in cui si consideri che i diversi motivi ornamentali, concertati minuziosamente, servono a sottolineare e a esplicitare il simbolismo fondamentale della porta. D’altro canto, è indispensabile dire che anche nelle porte le più spoglie questo simbolismo è presente, in modo che tutto quanto verremo a dire ha validità per qualsiasi porta di chiesa. Se da una parte il tempio è un’immagine del mondo, dall’altra esso può essere considerato come una porta aperta sull’Aldilà, come ci ricordano le parole della Scrittura che vengono riprese dalla santa liturgia: "Quanto terribile è questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo" (Gen 28,17). Ora, è stato dimostrato che la porta è essa stessa un riassunto di tutto il tempio. In effetti, essa si presenta come una nicchia a base rettangolare sormontata da un arco a tutto sesto oppure spezzato, e cioè essa ripete molto semplicemente il coro della chiesa, il quale è anch’esso una grande nicchia uscita dalla caverna sacra delle origini – a sua volta simbolo della Caverna cosmica – di cui si trovano ancora oggi delle forme viventi nelle sacre nicchie dell’India o nell’Islam (il mihrab delle moschee).
Ma è anche un simbolo mistico. Giacchè il tempio rappresenta il Corpo di Cristo, la porta, che ne è il riassunto, deve anch’essa rappresentare Cristo. Egli stesso, d’altronde, lo ha detto in maniera molto netta: "io sono la porta da cui entrano le pecore […] Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo" (Gv 10,7-9). La porta della chiesa diventa effettivamente questa porta mistica e cristica attraverso il rito di consacrazione nel corso del quale il pontefice fa un’unzione con il santo crisma su ciascuno degli stipiti, dicendo: "Che questa porta sia benedetta, consacrata. […] Che essa sia un’entrata di salvezza e di pace; che essa sia una porta di pace attraverso l’intercessione di Colui che Si è chiamato "la Porta", Nostro Signore Gesù Cristo".


L’ALTARE E CRISTO


Quando, una volta oltrepassata la soglia, si penetra nelle cattedrali o anche nelle chiese più modeste delle grandi epoche, si resta come affascinati e invasi da questa "sobria ebrezza" di cui ci parlano i mistici cistercensi. I tempio agisce come un incantesimo, perché si sente pulsare in lui un’anima armoniosa il cui ritmo, venendoci incontro, prolunga, oltrepassa e sublima il nostro proprio ritmo di viventi e lo stesso ritmo del mondo ove si immerge. Questa "magia" proviene dall’esistenze di un centro da cui si irradiano delle linee che generano, seguendo la divina proporzione, delle forme, delle superfici, dei volumi in espansione fino a un limite sapientemente calcolato che li arresta, li riflette e li rimanda verso il punto da cui sprigionano; e questa doppia corrente costituisce in qualche modo la "respirazione" sottile di tale organismo di pietra che si dilata verso l’esterno per riempire lo spazio e poi si raccoglie nella sua origine, nel suo cuore, che è interiorità pura.
Questo centro da cui tutto si sprigiona e verso cui tutto converge è l’Altare. L’Altare è l’oggetto più sacro del tempio, la ragione della sua esistenza e la sua stessa essenza, perché in caso di necessità si può celebrare la divina liturgia fuori dalla chiesa, ma è assolutamente impossibile fare questo senza un altare di pietra.
Introibo ad altare Dei…, "Verrò all’altare di Dio": il versetto del salmista che apre la messa ci pone, sin dall’inizio, della santa funzione, di fronte a questo prestigioso oggetto del culto. L’altare è la tavola, la pietra del sacrificio, quel sacrificio che costituisce – per l’umanità caduta – il solo mezzo di prendere contatto con Dio. L’altare è il luogo di questo contatto: attraverso l’altare Dio viene verso di noi e noi andiamo a Lui. Esso è l’oggetto più santo del tempio, perché lo si riverisce, lo si bacia e lo si incensa. E’ un centro di raggruppamento, il centro dell’assemblea cristiana; e a questo raggruppamento esteriore corrisponde un raggruppamento interiore delle anime e dell’anima, il cui strumento è il simbolo stesso della pietra, uno dei più profondi – come l’albero, l’acqua e il fuoco – che raggiunge e tocca nell’uomo qualcosa di primordiale.


L’ALTARE: LE LUCI SULLA SANTA MONTAGNA


Malgrado l’importanza capitale di quanto abbiamo ricordato, non si avrebbe, se ci si limitasse a questo, che una visuale incompleta del significato dell’altare. Sebbene la pietra abbia in se stessa tutto il valore che abbiamo detto – perché: "Petra erat Christus" -, nondimeno questo valore è ulteriormente sottolineato dalla presenza obbligatoria di altri due elementi: i gradini che conducono all’altare e i lumi che ivi si pongono.


I gradini, che ancora una volta svolgono una funzione di regola per l’erezione di un altare, sono anch’essi simbolici. Essi ricordano che l’altare si erge sulla "Santa Montagna". Si tratta di un’immagine del mondo e del paradiso e il suo significato si congiunge a quanto già sappiamo dell’altare e lo rinforza.
In una maniera generale, è possibile dire che i ceri dell’altare si ricollegano al cero pasquale che rappresenta la "colonna di fuoco" e il Cristo resuscitato. Nella messa siriaca, troviamo due belle preghiere che vengono recitate mentre si accendono i ceri pasquali e che ricordano ai fedeli il fatto che Gesù è la vera luce: "Gesù pieno di luce, per la tua Luce noi vediamo la luce. Tu sei la vera luce che illumina tutte le creature; illuminaci con la Tua bella luce, icona del Padre celeste". "Puro e Santo che vivi nelle sfere della luce, allontana da noi le passioni malvage e i pensieri impuri. Aiutaci a fare le opere della giustizia con purezza di cuore".
Ma questo significato generale dei ceri in se stessi si sdoppia con un significato particolare che risulta dal numero dei ceri utilizzati. E’ su quest’ultimo punto, assolutamente il meno conosciuto, che intendiamo insistere. Per celebrare la messa sono normalmente necessari sei ceri sull’altare, disposti ai lati della Croce in due gruppi di tre. Ora, è quasi certo che questi sei ceri dovevano in verità essere sette, perché è quanto meno sicuro che questi ceri ricordano il candelabro a sette braccia degli Israeliti. E’ per tale motivo che un tempo, in molte chiese – come a Vienne, Lione, Rouen -, si poteva notare una trave con sette ceri che attraversava tutta la larghezza del santuario e che era espressamente destinata a rappresentare il candelabro ebraico. D’altra parte, alla messa in presenza di un vescovo, si trovano sull’altare dei ceri, ma davanti al candelabro centrale. Stabilito questo una volta per tutte, è dunque riportandosi al simbolismo del candelabro israelita che si potrà tentare di definire quello dei nostri luminari.
La menerà è il nome del candelabro del Tempio di Gerusalemme che era posto a sinistra dell’altare degli incensi. Essa era costituita da un fusto centrale dritto e da sei bracci ricurvi, a semicerchi concentrici. Le sette braccia comunicavano fra loro attraverso dei canali interni piani d’olio d’oliva consacrato che alimentava le lampade. Come lo stesso Tempio e come l’arca dell’alleanza, la menerà fu eseguita secondo un modello celeste visto da Mosè sulla montagna (Nm 8,4. le indicazioni relative a questo oggetto di culto si trovano in Es 25,31-40;37,17-24 e Lv 24,1-4;6,5-6).
Se la menerà è passata dal culto ebraico al culto cristiano, è perché essa appartiene anche al Nuovo Testamento. In effetti, nell’Apocalisse Cristo appare attorniato da sette candelabri d’oro (Ap 2,1) e questa apparizione assomiglia stranamente a quella che ricevete il profeta Zaccaria.